LE TAVOLETTE VOTIVE DELLA LESSINIA ORIENTALE
Manifestazione di arte popolare unica nel suo genere. A partire dai primi anni del 1500, come segno di devozione, di ringraziamento per un pericolo scampato (come la peste) o per una grazia ricevuta, la popolazione fece erigere, accanto alle abitazioni, nei crocicchi, lungo le strade o su alcune alture, delle lapidi votive rappresentanti la Madonna col bambino, talvolta attorniata dai santi Sebastiano e Rocco.
Data la presenza di questi due santi, l’allusione al pericolo della peste è evidente.
Si tratta di forme elementari, stilizzate e ridotte all’essenza, ma dal forte contenuto espressivo. La Madonna sembra mostrare il figlio dal davanzale di una finestra, ha un’espressione tranquilla e rassicurante, pronta a soccorrere in caso di bisogno.
Molte di queste colonnette non sono più nei loro luoghi originari. Alcune sono state rubate, di altre non si sa dove siano finite. Ne rimangono una quarantina di oltre 80 censite in uno studio del 1958.
La seconda e la terza tappa del Cammino dei 7 vulcani permette di vederne una buona quantità e di pregevole fattura.
LUNGO IL SENTIERO DELLA MEMORIA
Il nostro Cammino, una volta giunti nei pressi della contrada Pezzati, verso la fine della prima tappa, segue le tabelle a forma di bandiera tricolore, verde, bianco e rosso.
Tracciato per ricordare le tristissime vicende avvenute durante la guerra partigiana, ci porta nelle contrade dove particolarmente atroci furono le rappresaglie nazifasciste.
Il sentiero è costantemente tenuto agibile ed in ordine dagli abitanti del posto.
Nel libro “Vestenanova nell’uragano” scritto dal parroco don Attilio Benetti, sono ricostruiti i fatti, con molti dettagli e testimonianze raccolte dai feriti e da coloro che poi sono deceduti.
Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 Giuseppe Marozin fondò, in una contrada di Crespadoro, la Brigata Partigiana “Pasubio”, tra le prime nel veronese.
Questa crebbe sempre più di numero, fino ad annoverare oltre 1600 aderenti. La base logistica era in contrada Cracchi e la residenza di Marozin in contrada Rama.
Vi furono diversi scontri a Vestenanova e nelle località limitrofe, fra queste si ricorda quello di Zovo, con morti sia da parte partigiana che repubblichina.
La contrada fu bruciata e due civili di cognome Zoccante furono catturati. Uno di questi morì in campo di concentramento a Dachau.
A Bolca furono perquisite le abitazioni e incendiate case e stalle ai Brusaferri. Per rappresaglia, a causa dell’uccisione di un tedesco, vennero bruciate e saccheggiate le contrade Pezzati, Montanari, Brusaferri, Luisi e Ragano.
In tutto vi furono 15 civili uccisi di cui 6 solo ai Pezzati.
Fra l’8 e il 14 luglio 1944 anche il paese di Vestenanova subì una brutale repressione con 17 persone uccise. Furono incendiati il municipio, le scuole, l’ufficio postale e molte abitazioni.
Più tardi la stessa sorte toccò alle contrade attorno e a sud del paese. Quattro civili persero la vita e le case incendiate furono una settantina. Logicamente le rappresaglie partigiane non si fecero attendere: in un’imboscata furono uccisi tre tedeschi.
Nella controffensiva che ne seguì, furono bruciate alcune contrade nella frazione di San Bortolo e quelle di Mettifoghi e Cracchi e vi furono dei morti.
Queste tristi vicende ebbero luogo soprattutto fra il 12 settembre 1944 e il 5 febbraio 1945. Gli americani arrivarono a Vestenanova il 28 aprile 1945 con grande festa della popolazione.
BOLCA: FOSSILI E VULCANI
La seconda tappa del cammino ci porta nella frazione di Bolca, frazione del Comune di Vestenanova che val la pena conoscere ed esplorare un po’. Il Monte Purga, che domina il paese sopra la chiesa parrocchiale, è ciò che rimane dell’antico cono vulcanico che risale all’era terziaria.
E’ costituito da basalti colonnari che ne occupano l’intero camino, visibili dal lato nord, seguendo un piccolo sentiero che parte dal piazzale della chiesa.
E’ completamente coperto di vegetazione, soprattutto noccioli, carpini, frassini, faggi. Sulla sommità si erge una splendida croce in pietra costruita a fine ‘800 da una persona del luogo. Il versante sud è collassato e ne rimane un grande pietraia fatta di resti di colonnari. La gente del luogo l’ha utilizzata come cava di materiale per costruire i muri delle strade, delle abitazioni e dei terrazzamenti dei campi attorno.
Sotto il cono vulcanico, in direzione Ovest, ci sono degli strati di tufo con livelli di lignite, sfruttati per un centinaio di anni. In mezzo a questi strati di carbone sono stati trovati interessantissimi resti fossili di palme, di coccodrilli e di tartarughe.
Dalla sommità, anche se disturbata dalla vegetazione cresciuta attorno, si gode una splendida visione delle Valle d’Alpone, del Chiampo e dell’ Illasi.
Guardando verso nord appare nella sua inconfondibile sagoma la Purga di Durlo che le fa compagnia da milioni di anni, da quando sono emerse dall’antico mare della Tetide.
Il Museo dei Fossili Bolca è il sito paleontologico più importante al mondo per i fossili dell’Era Terziaria e si custodisce oltre 500 splendidi reperti . I suoi fossili, oggetto di interesse e di studio dalla metà del ‘700, sono stati esposti in numerosi musei e collezioni pubbliche e private in Italia e all’estero.
Nel Museo si possono ammirare esemplari di pesci (oltre duecento specie), di vegetali, di crostacei, di molluschi, di rettili e di insetti. Tutti organismi vissuti in un ambiente che ricorda i mari tropicali.
E’ un viaggio nella storia del nostro pianeta, della vita sulla terra quando noi ancora non c’eravamo.
La Pesciara
La maggior parte dei fossili esposti nel Museo sono stati estratti nei giacimenti della Pesciara e del vicino Monte Postale, situati a circa 3 kilometri dal paese.
La Cava della Pesciara è costituita da un blocco di strati calcarei del periodo eocenico, immerso nelle vulcaniti che l’hanno avvolta e protetta per milioni di anni.
E’ conosciuta come luogo dei pesci da oltre 500 anni, ma i lavori sistematici di ricerca e scavo risalgono alla seconda metà del ‘700.
Gli strati, contenenti i preziosi ittioliti, in 250 anni, sono stati asportati quasi del tutto, ma recenti indagini ne promettono di nuovi.
Le gallerie principali sono state messe in sicurezza e ora si può entrare nelle viscere della montagna per un centinaio di metri. Dalla Pesciara e dal Monte Postale sono stati estratti migliaia di reperti di estremo valore perché hanno uno stato di conservazione fra i più perfetti al mondo.
Date le ottimali condizioni verificatesi, gli organismi hanno mantenuto ogni particolare, di essi si è conservato tutto con estrema precisione, perfino il colore. Nei resti della libellula fossile si vede la filigrana delle ali. Anche le meduse, costituite quasi totalmente di acqua, hanno lasciato il loro segno nella pietra.
GIAZZA
I Cimbri
Giazza, in cimbro Lietzan, è conosciuta come il paese Cimbro per eccellenza, infatti in questo isolato paesino di montagna, più che da ogni altra parte, è perdurato nei secoli un forte legame con la lingua e le tradizioni germaniche.
Nel secoloXIV arrivarono qui gruppi di Tzimbar (cimbri), abili boscaioli, nell’arte di fare il carbonee nell’allevamento delle pecore. La loro pregiata lana era particolarmente richiesta dai tessitori scaligeri.
Provenivano dall’Altipiano dei Sette Comuni di Asiago. Trovando qui un ambiente ideale crebbero ben presto di numero e più tardi si organizzarono nella Comunità dei Tredici Comuni, mantenendo comunque stretti contatti con i luoghi di provenienza. La loro prima segnalazione storica risale al 1287 quando il vescovo Bartolomeo della Scala concesse un insediamento ad un certo Olderico di Altissimo.
Probablmente sia a Giazza che a Selva di Progno e a Campofontana si erano insediate altre popolazioni, già dal IX secolo e forse dall’età del Bronzo, avendo trovato qui resti di castellieri e strade. Hanno il tauch (deutsch) dialetto bavarese per oltre 5 secoli ed i parroci che venivano mandati a Giazza provenivano dalle comunità cimbre limitrofe per poter essere in grado di comunicare con la popolazione.
Costituita nel 1616 la Comunità aggregava 11 Comuni: Velo Veronese, Roverè Veronese, Valdiporro, Azzarino, Camposilvano, Selva di Progno con Giazza, Sprea con Selva di Progno, Saline (San Mauro), Bosco Frizzolana (Boscochiesanuova), Tavernole, Alferia (Cerro Veronese), in seguito furono aggiunti Erbezzo e San Bartolomeo delle Montagne.
Ci ricordano l’origine cimbra numerosissimi toponimi del territorio come: Plische = monte dei lampi, Baffelan = pianoro delle armi, Purghesthal (Monte sopra Roverè) =luogo adatto a un castello, Kaberlaba= pozza degli scarafaggi, Laite = pendio, declivio, Purga e tantissimi altri. I cognomi che terminano per –erle (come Becherle, Pozzerle, Ederle, Scamperle ecc.), Cunego, Cunegatti derivano da König = re. Ed inoltre gli elementi architettonici tipici dei baiti, l’uso della pietra nella costruzione delle contrade e le caratteristiche colonnette votive.
Numerose iniziative culturali, coordinate e promosse dal “Curotorium Cimbricum Veronese” si stanno adoperando per non far morire la lingua cimbra parlata ormai solo da una ventina di persone a Giazza e da una quarantina di emigrati all’estero.
Anche noi ci sentiamo Cimbri, anche se non ne parliamo la lingua. Lo siamo nel modo di vivere, di pensare, nel rispetto e nell’attaccamento alla terra dalla quale i nostri vecchi hanno ricavato da vivere per secoli”.
Il carbone di Giazza
La quinta tappa del cammino, ci fa scendere da Campofontana alla frazione di Giazza. Fino agli anni ’50 del secolo scorso era costume presso gli abitanti di Giazza, procurarsi il carbone con l’antica tecnica cimbra: far ardere senza fiamma una grossa catasta di legna di faggio, carpino e frassino, appositamente predisposta a cumulo.
Ciò che rimaneva dalla combustione era il carbone vegetale che veniva usato per fare la brace nelle grigliate. Da circa 40 anni questa tradizione si ripete in contrada Teldari di Giazza per opera di Nello Boschi, ultra ottantenne e del figlio Giorgio.
La combustione, che deve assolutamente avvenire senza che la legna prenda fuoco, richiede controllo e continua presenza per i tre giorni della durata.
Questa pratica in realtà era comune nelle popolazioni delle nostre Prealpi e dell’Appennino e ha costituito in molti casi un vero mestiere e una fonte di guadagno.