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Il territorio
I vulcani
I luoghi
INQUADRAMENTO GENERALE DEL TERRITORIO

Il nostro cammino si snoda nei Monti Lessini orientali, zona di straordinario interesse geologico e paleontologico. Durante l’Eocene (56-36 milioni di anni fa), dove ora ci sono le ridenti colline delle valli dell’ Alpone, del Chiampo e dell’ Illasi, vi era un mare basso, pullulante di vita animale e vegetale.

In questo mare tropicale si sono depositati, per milioni di anni, centinaia di metri di sedimenti carbonatici. Il fondale marino era tormentato dall’ intensa attività delle eruzioni dei vulcani, attivate da profonde spaccature che collegavano il magma incandescente del nucleo terrestre alla crosta soprastante.

Questo fenomeno non è avvenuto nel resto dell’altopiano lessinico ed è esclusivo, quindi, della nostra zona. Il versante occidentale della Val d’Alpone, all’inizio dell’era terziaria, andò incontro ad uno sprofondamento tettonico chiamato faglia di Castelvero, che ha tagliato longitudinalmente questa dorsale. In questa enorme fossa, chiamata “graben”, si sono accumulati i prodotti delle eruzioni, raggiungendo uno spessore di circa 500 m.

Esiste, pertanto, una netta distinzione fra il territorio a monte della faglia e quello sotto. Lo si può notare anche attualmente da alcuni elementi secondari, come il materiale utilizzato nella costruzione delle abitazioni e dei muretti a secco, il basalto, dai colori molto scuri, al di sotto della faglia, mentre sopra sono rimasti i calcari, di colore molto chiaro.

L’attività dei vulcani si è protratta fino all’oligocene (33-23 milioni di anni). Nel frattempo, qui ebbero luogo altre faglie, di minori estensioni, sempre disposte a grappolo, parallele a quella di Castelvero, sempre con la stessa direzione NNO-SSE. Fra queste, la più interessante è la Campofontana-Roncà.

La zona occidentale della Val d’Alpone, dunque, partendo circa da mezza costa, è stata riempita da abbondanti eruzioni di magma e da prodotti vulcanoclastici, cioè da rocce fuoriuscite dai camini circostanti, smantellate dagli agenti e depositate in mare. Sono quindi rocce sedimentarie di origine vulcanica. Scarsa è la rilevanza degli affioramenti sedimentari carbonatici.

In alcune località dei comuni di San Giovanni Ilarione e Vestenanova il basalto si è fessurato in colonne prismatiche a sezione esagonale o pentagonale. Raffreddandosi lentamente all’ interno del camino originario si è fessurato in colonne verticali a sezione prismatica molto regolare. Si tratta di forme spettacolari che hanno attirato l’attenzione e l’interesse di studiosi e appassionati già nei secoli passati.

I VULCANI PRINCIPALI LUNGO IL CAMMINO
Note sulla geologia dei luoghi

Il primo vulcano che incontreremo nella prima tappa, del quale lambiremo a piedi le pendici, è il Monte Calvarina. Attualmente occupato da una ex base NATO dismessa, il Calvarina è uno dei maggiori edifici vulcanici del Veronese, assieme al vicino Monte Crocetta, e testimonia l’importante attività vulcanica del Cenozoico.

I basalti colonnari del Monte Madarosa,(secondo vulcano) tra San Giovanni Ilarione e Chiampo, sono comparsi da poco, in tutta la loro bellezza, perché messi a nudo da una cava che ha sezionato a metà il monte. Il sentiero passa molto vicino alla base dell’antico vulcano e, su alcuni blocchi caduti, si vedono piccole nicchie riempite da cristalli di olivina.

Il Monte Madarosa, a 561 m s.l.m., è situato sul crinale spartiacque Alpone -Chiampo che dal Monte Calvarina prosegue verso il Monte Persico , Monte Merlo e Monte Corpegan. Lungo questa linea scorre il confine fra la provincia di Verona e quella di Vicenza. E’ stato un importante sito archeologico, distrutto completamente dalla attività di una cava di basalto. Alcuni manufatti sono conservati attualmente presso il museo dei frati di Chiampo. Anche le zone limitrofe, da Contrada Ciampetti fino al Monte Merlo, ricche di bentonite e di terre refrattarie hanno rischiato la devastazione ambientale.

Il Monte Guarda, ad est del Paese di Vestenanova, coi suoi 650 metri di quota, è un altro dei vulcani degni di nota, terzo dei sette.

A Vestenanova sono altresì presenti le spettacolari formazioni della Valle Stanghellini, messe in splendida vista dall’azione erosiva dell’Alpone. Attualmente Il sentiero per raggiungerle non è facilmente percorribile.

Sul Monte Purga di Bolca, quarto vulcano che visiteremo all’inizio della terza tappa, i colonnari sono ben visibili dal lato NE del camino, in prossimità della cima, costituendone l’intero cono vulcanico. La Purga di Bolca poggia su strati di ligniti e vi affiorano tufi e argilliti. Da qui, durante l’attività di escavazione del carbone, sono venuti alla luce, numerose palme fossili, tartarughe e coccodrilli.

La Purga di Durlo, (quinto vulcano alla fine della terza tappa), pur non presentando colonnari affioranti, è un singolare cono vulcanico dalla forma perfetta, derivante da un antico camino. I resti di una torre sulla sua sommità, fanno pensare ad una postazione longobarda. Il termine “Purga” deriva dall’antico tedesco Burg, che significa fortificazione sopra un’altura. Queste alture isolate hanno ospitato, nella preistoria, insediamenti primitivi già dall’età del ferro e probabilmente un castrum romano.

Sul Monte Belloca, sesto vulcano che vi segnaliamo e che raggiungeremo durante l’ultima tappa, i colonnari sono crollati dal versante est creando una gigantesca ed impressionante pietraia nera.

Chiudono il “conto dei vulcani” i maestosi basalti colonnari di San Giovanni Ilarione, a conclusione del Cammino.

Una vecchia cava in disuso da circa un secolo, a SW della frazione di Castello di San Giovanni, ha messo a nudo la fiancata del monte da cui sporgono enormi colonne di pietra scura che si spingono verso l’alto, per un centinaio di metri, dal fondovalle alla chiesa della frazione. A circa un chilometro, a nord, si trova il Monte del Diavolo, altro impressionante camino di colonnari con regolarissime sezioni esagonali o pentagonali. Nel resto del percorso si incontrano altri tipi di rocce come la Dolomia, il Rosso ammonitico a Campofontana, il Biancone (chiamato anche maiolica), la scaglia rossa e i calcari eocenici. A questi ultimi appartengono i pesci fossili di Bolca.

Il torrente della Valle dei Mulini, che incroceremo durante la seconda tappa, scorre interamente su strati di Dolomia, una roccia giallo-rosata disposta in banchi compatti su cui c’è scorrimento d’acqua, mentre il greto dei torrenti che scorrono sul biancone e sulla scaglia rossa è pressoché quasi sempre asciutto.

Monte Spilecco
Poche centinaia di metri prima di terminare la seconda tappa, passeremo dal Monte Spilecco, nella frazione di Bolca. Gli strati di Spilecco sono più antichi di circa 5 milioni di anni (Paleocene) di quelli circostanti presenti a Bolca. Sono costituiti da rocce sedimentarie con forte presenza di piccoli denti di squalo, crinoidi e aculei di ricci di mare.

BREVE DESCRIZIONE DEI LUOGHI
Note di viaggio

Base militare Monte Calvarina
Ospitava un gruppo missilistico dell’Aeronautica militare Italiana. Occupava la zona sommitale del Monte nei territori di San Giovanni Ilarione, di Montecchia di Crosara e di Roncà. Entrata in funzione dal 1961, venne abbandonata definitivamente nel 1995. Era dislocata su tre aree differenti (area logistica, area lancio e controllo, area tiro) e si occupava principalmente del controllo aereo. Dagli anni ’70 agli anni ’80 ha collaborato un distaccamento di soldati americani, per questo motivo molti hanno pensato che la base fosse americana. Era dotata di missili Nike e poi Hercules che potevano portare una testata nucleare. Sfioreremo questi luoghi, senza entrarci dentro, dopo Contrada Fassi, durante la prima tappa.

Capitello Belloca
Venne costruito nel 1926, quando la contrada di Belloca e la frazione di Cattignano facevano parte della parrocchia di Castello. Si permise così alla gente dei dintorni di radunarsi per pregare e assistere alla messa, senza essere costretti a spostarsi nella chiesa parrocchiale distante sette chilometri. Alla costruzione collaborarono tutti i capifamiglia. Il capitello sorge su quattro gradini. Ci sono decorazioni a bassorilievo sulla facciata e, sotto il timpano si legge W GESU”. All’ interno c’è la statua della Madonna col bambino con la data di costruzione 1926 e l’invocazione “Maria Ausiliatrice prega per noi”. Verso la fine degli anni ’40 in contrada Belloca ha funzionato per una quindicina d’anni una scuola elementare pluriclasse che ha permesso ai bambini della zona di frequentare le lezioni vicini alle loro case.

Un’ esperienza all’avanguardia per quel tempo, che ha consentito, anche ai figli delle famiglie meno abbienti,di usufruire della mensa scolastica, ben fornita e di ottima qualità. Il cibo preparato nel ristorante” Al Cervo” dalla Bice era portato a scuola ogni mattina dal maestro, in moto . La contrada, situata a 524 m s.l.m, è divisa in due dalla strada comunale. La parte bassa è la più caratteristica. Si sviluppa attorno a una corte interna e per costruire case, stalle, fienili si è utilizzata la pietra bianca calcarea del posto. Vi si accede attraverso un portone ad arco su cui è incisa la data 1689. Solo poche abitazioni sono state ristrutturate , il resto è in abbandono. Visiteremo la Contrada Belloca durante l’ultima tappa, prima di ridiscendere al paese di San Giovanni Ilarione.

Contrada Biron
Poco oltre la contrada Belloca in direzione Cattignano si incontra la Contrada Biron. Il nome compare in citazioni del 1264. Il Monte Biron offre una splendida vista sulla vallata di San Giovanni ed è possibile sia stato utilizzato nelle preistoria come avamposto e punto di osservazione. Sotto un riparo non lontano dalla contrada, chiamato dalla gente del luogo “Onda fluviale” sono stati rinvenuti manufatti in selce, ma il sito non mai stato preso in adeguata considerazione. (foto) Dista dalla contrada Belloca qualche centinaio di metri per cui, chi lo desidera, può fare una leggera deviazione prima di riprendere la strada che porta a San Giovanni.

Castello
Frazione di San Giovanni Ilarione a 315 m. di quota. Sorge su un impressionante picco vulcanico, messo a nudo dall’attività estrattiva di una cava che ci fa vedere la spettacolare struttura colonnare del basalto. La chiesa attuale costruita nei primi decenni del 1800, sorge sul basamento di un antico castello dei Malacapella, distrutto nel 1242 da Ezzelino da Romano. Nella chiesa è conservato un prezioso dipinto di Bartolomeo Montagna. Dal Piazzale della Chiesa si gode una splendida vista sulla valle sottostante.

San Zeno
Chiesetta romanica nei pressi della contrada Ruggi. Ristrutturata nel 1750 è andata lentamente in decadenza fino a crollare per buona parte. Nel 1981 il parroco di Castello Don Adelio Mantiero l’ ha fatta restaurare totalmente nella forma in cui ora si può ammirare. E’stata sicuramente la prima chiesa del paese, attorno ad essa si trovava il cimitero. All’ interno c’è una statua di San Zeno del 1449.

Il Monte Belloca fra San Giovanni e Tregnago – note storiche e vecchie diatribe
Il termine deriva da “belluae loca” luoghi delle belve o molto più probabilmente da” belli loca” luoghi di guerra, in relazione alle lotte protrattesi per secoli , per questioni di confine, sul lato orientale del monte, fra Tregnago e San Giovanni Ilarione che a quei tempi era sotto la giurisdizione vicentina. Già nel 1224 ci fu una sentenza che attribuiva a Tregnago la proprietà del monte, ma nel 1429 gli Ilarionesi ricorsero al Doge di Venezia perché la proprietà fosse attribuita a loro. La richiesta fu respinta qualche anno dopo. Nel 1436 alcuni ilarionesi rubarono degli animali che pascolavano sul monte e non vollero mai restituirli. Il Doge incaricò i magistrati di Verona, Vicenza e Padova di risolvere la questione. La sentenza del 1472 venne registrata nel 1484 dando ragione ai tregnaghesi, confermando quanto stabilito nel 1436 e obbligando le fazioni a porre delle pietre di confine. Fra il 1488 e il 1500 furono tagliati alcuni campi di boschi in quel di Tregnago, furono sottratti sei buoi e manomesso un cippo di confine.

La risposta di Tregnago non tardò, ci fu il furto di alcune mucche “vicentine” e con esse si imbandì un ricco banchetto per la comunità all’altro lato del monte. Gli animi non si placarono, ci furono altri scontri nel 1505 e 1506 e 1507, anno in cui i tregnaghesi tagliarono il grano non ancora maturo agli avversari. Gli ilarionesi passarono al contrattacco, si armarono e si scontrarono con quelli di Tregnago in località Finetti urlando “bechi, farabutti, a morte, a morte”. Ci furono diversi feriti, furono fatti alcuni prigionieri e ci scappò un morto fra gli aggressori vicentini. Nel 1508 furono confermati i confini del 1472 e furono posti due cippi della repubblica veneta, indicando inoltre la pena per chi li avesse manomessi. Da allora fu posto perpetuo silenzio fra le due comunità. Attualmente uno dei cippi è posto nella sala consigliare del comune di San Giovanni Ilarione e l’altro all’ ingresso della biblioteca di Tregnago. Una copia si trova nel luogo originario nei pressi del monte Belloca.

Chiesetta di Sant’Antonio Abate a Vestenavecchia
All’inizio della seconda tappa Vestenanova-Bolca, dopo qualche chilometro, val la pena deviare brevemente dal percorso per visitare la chiesetta di Sant’Antonio Abate, sul colle di Vestenavecchia. Sorge sulla Fratta, un cono di basalto posto fra Vestenanova e Vestenavecchia e la si vede da ogni punto dell’alta valle d’Alpone. Probabilmente è la chiesa più antica della valle. Ha passato le più svariate vicissitudini, ha visto guerre, pestilenze, gente che ha lasciato la propria terra per cercare fortuna altrove.

Durante la peste del 1630 diventò il Lazzaretto e le pareti interne furono imbiancate con la calce per disinfettarle, coprendo gli affreschi. Fu adibita a luogo di culto, a scuola, a teatro, a ricovero per gli animali e a rifugio per i partigiani, fino all’abbandono che portò al degrado.

Negli anni ’70, su interessamento del Parroco, iniziarono i lavori di recupero e di restauro degli affreschi. Si accede alla cima del monte tramite due sentieri lungo i quali sono state disposte le stazioni della Via Crucis. Davanti alla chiesa, una scala porta ad una grande croce in pietra fatta erigere da Balsemino Baldo un emigrante tornato a Vestenavecchia dove morì.

E’ dedicata a Sant’Antonio Abate protettore degli animali domestici. La festa ricorre il 17 gennaio. Analogamente alla chiesetta di San Zeno a Castello di San Giovanni Ilarione, ci riporta allo stile romanico. All’ interno, dopo i lavori di restauro, sono venuti alla luce interessanti affreschi raffiguranti Dio Padre, la colomba dello Spirito Santo, l’Annunciazione con l’arcangelo Gabriele.

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